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Introduzione

Con il termine di shock si intende una condizione di squilibrio circolatorio in cui gli organi non ricevono più un’adeguata quantità di sangue e dell’ossigeno contenuto, andando quindi incontro a sofferenza e, in assenza di trattamento, a morte; in termini medici una riduzione dell’apporto di sangue è definita come riduzione della perfusione, o semplicemente ipoperfusione.

In caso di shock l’organismo mette in atto una serie di meccanismi con cui tenta di compensare la carenza di ossigeno e sono proprio questi tentativi a manifestarsi all’esterno attraverso i classici sintomi di shock.

Tra le varie possibili cause alla base di una condizione di shock troviamo la riduzione della volemia, ovvero del volume di sangue circolante nell’organismo: i tessuti ricevono meno sangue perché “nei vasi c’è meno sangue che circola”, anche se come vedremo in seguito questa definizione non è propriamente applicabile per tutti i casi di shock ipovolemico.

Il trattamento prevede approcci e metodiche differenti sulla base del meccanismo sottostante che ha comportato l’ipoperfusione.

La prognosi è variabile in base a fattori quali:

  • quantità di sangue/liquidi persi,
  • velocità con cui è stato perso,
  • cause della perdita,
  • stato di salute del soggetto e presenza di condizioni mediche croniche (diabete, malattie cardiache, polmonari e renali),
  • età (gli anziani hanno maggiori probabilità di sviluppare complicazioni gravi).

Uno shock ipovolemico grave può risultare fatale nonostante l’immediato intervento di un medico.

I differenti tipi di shock

Sotto la definizione di shock, inteso come sofferenza dei tessuti periferici per ipoperfusione, troviamo differenti tipologie sottostanti che dipendono dal meccanismo di base:

  • Shock cardiogeno: ipoperfusione periferica da disfunzione cardiaca.
  • Shock neurogeno: ipoperfusione periferica per un mancato controllo della vascolarizzazione da parte del sistema nervoso centrale.
  • Shock settico: ipoperfusione periferica da alterazione dei vasi a seguito di infezione.
  • Shock anafilattico: alterazione dei vasi periferici per reazione allergica e rilascio di mediatori molecolari specifici.
  • Shock ostruttivo: condizioni che alterano il normale scambio di gas a livello dei capillari polmonari (come uno pneumotorace o un’embolia polmonare).
  • Shock ipovolemico: ridotta perfusione periferica per riduzione della volemia (quantità di sangue circolante).

Cause

Nel contesto dello shock ipovolemico, su cui andremo a concentrare la nostra attenzione, è possibile operare la seguente distinzione:

  • Shock ipovolemico su base emorragica, dovuto ad una grande perdita di sangue (emorragia) che determina la riduzione della volemia. La causa più comune è sicuramente l’origine traumatica (pensiamo per esempio ad un incidente stradale, una caduta, …), ma tra le possibili origini ricordiamo anche
    • sanguinamento gastrointestinale,
    • sanguinamento da gravidanza extrauterina,
    • sanguinamento da intervento chirurgico,
    • sanguinamento vaginale.
  • Shock ipovolemico non emorragico: riduzione della volemia per perdita di liquidi che non necessariamente sono rappresentati da perdita ematica in tutte le sue componenti. Esempi di questo tipo possono essere
    • una profusa sudorazione (pensiamo ad esempio ad un episodio febbrile importante);
    • un’alterazione di tipo renale con grossa perdita di liquidi (in questo caso anzi le componenti ematiche di per sé risulteranno più concentrante del normale);
    • perdite di liquidi a livello intestinale (come ad esempio un episodio diarroico acuto);
    • perdite di liquidi corporei per ustioni e conseguente disidratazione.

Lo shock ipovolemico è il tipo più comune di shock nei bambini, soprattutto a causa di diarrea e conseguente disidratazione nei Paesi in via di sviluppo.

Sintomi

I pazienti con una modesta riduzione di volume ematico (del sangue) possono lamentare inizialmente

È possibile individuare alcune manifestazioni comuni a tutte le forme di shock, a prescindere dalla causa che ne è all’origine; poiché l’ipoperfusione periferica determina fondamentalmente una riduzione dell’apporto di ossigeno ai tessuti dell’organismo (ipossia), questi rispondono riducendone il consumo. Questo per le cellule significa passare da un metabolismo aerobio ad uno anaerobio, generando come prodotti di scarto degli acidi (un tipico esempio è l’acido lattico del muscolo quando questo, per sforzi prolungati, finisce la disponibilità di ossigeno per il metabolismo aerobio).

Le molecole di “reazione” che vengono liberate durante lo shock determinano alcuni segni e sintomi caratteristici:

  • Aumento della frequenza cardiaca (l’organismo tenta di far quindi circolare più rapidamente quel poco sangue rimasto nel circolo, così da aumentare l’apporto energetico periferico).
  • Aumento della frequenza respiratoria (per aumentare la velocità e la quantità degli scambi a carico del circolo polmonare, dove il sangue cede anidride carbonica e si ricarica di ossigeno).
  • Vasocostrizione periferica (in particolar modo l’organismo, che si accorge di avere meno sangue e risorse a disposizione, reindirizza quel poco rimasto verso le strutture nobili e per poter far questo “chiude” la strada della periferia vasocostringendo, ed apre quella degli organi centrali vasodilatando).
  • Sudorazione algida (fredda), tipico segno dovuto all’azione delle molecole dello shock a livello delle ghiandole sudoripare.

Ogni tipologia di shock si manifesta poi attraverso segni tipici che permettono al personale medico di intuire la causa; nel caso dello shock ipovolemico il paziente tenderà a diventare

  • pallido,
  • freddo a livello periferico per assenza di circolo,

oltre a manifestare spesso chiari indizi sull’origine della condizione (ustione, emorragia, …).

Tanto maggiore e rapida è la perdita di sangue, tanto più gravi sono i sintomi dello shock, che possono arrivare ad includere:

Complicanze

La principale conseguenza di uno shock è la riduzione dell’apporto di sangue agli organi più importanti. Una perfusione ridotta può generare la cosiddetta “ischemia”, la cui evoluzione nel tempo è un’area di infarto (le cellule, se non perfuse per oltre un certo limite di tempo, muoiono e non saranno più in grado di ripristinare la funzionalità in toto di quel tessuto); i fenomeni ischemici sono spesso accompagnati da dolore nell’area di insorgenza, tipicamente a livello addominale o al petto.

La conseguenza più temuta è tuttavia l’insufficienza multiorgano, condizione in cui più organi smettono di funzionare e da cui difficilmente il paziente, seppur trattato adeguatamente, riesce a riprendersi.

Diagnosi

Molto spesso non c’è il tempo per poter eseguire indagini strumentali e confermare con certezza l’ipotesi diagnostica di shock, quindi la diagnosi è essenzialmente clinica, basata sul raccordo tra segni e sintomi, anamnesi (per quanto valutabile).

Alcune indagini strumentali che possono aiutare, qualora vi sia la possibilità di applicazione, sono:

  • elettrocardiogramma, per valutare la frequenza cardiaca ed anche se vi siano delle alterazioni della conducibilità elettrica a livello cardiaco (soprattutto nel caso di diagnosi differenziale con uno shock cardiogeno),
  • esami di laboratorio,
  • misurazione della pressione e della frequenza cardiaca.

Cura

Il primo obiettivo nel paziente sotto shock è sostenerne il circolo; nel caso di shock ipovolemico questo si traduce nella somministrazione di liquidi, la cui tipologia dipende dal tipo di perdita:

  • nel caso dello shock ipovolemico di origine emorragica la perdita riguarda le componenti ematiche, che andranno pertanto reintegrate attraverso una trasfusione,
  • nel caso invece di semplice perdita di liquidi, andranno somministrati liquidi al paziente sulla base della perdita stimata.

Ai liquidi sono poi associati farmaci per monitorare e controllare la funzionalità del cuore e dei vasi.

Scopo ultimo è quello di ripristinare la volemia per assicurare nuovamente la corretta perfusione a tutte le strutture dell’organismo.

Prevenzione

Sfortunatamente prevedere una condizione di shock ipovolemico è praticamente impossibile, essendo spesso legato ad eventi che sopraggiungono improvvisamente (come un’ustione o una ferita).

Nelle rare condizioni in cui questo possa rappresentare una complicazione prevedibile è possibile cercare di monitorare attentamente il paziente dal punto di vista dei segni di facile identificazione:

  • frequenza cardiaca,
  • frequenza respiratoria,
  • idratazione
  • e sudorazione della cute in periferia.

Fonti e bibliografia

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